La via Francigena e i pellegrini


© Fabrizio Mandorlini
Non è tutto alla luce del sole quanto San Miniato ha da raccontare. E allora devi guardare oltre, a cercare ciò che il tempo e i secoli hanno cancellato ma conservato, in attesa di tornare a testimoniare il loro essere stati. Ogni epoca ha lasciato il proprio dna, la sua firma, fin dai tempi degli etruschi e dei romani che per primi abitarono il colle.
Si potrebbe dire, come una piccola Roma, che sopra un monumento ne veniva costruito un altro di epoca successiva.
Il sito di San Genesio rappresenta uno dei contesti archeologici più significativi della Toscana per lo studio dell’altomedioevo lungo la via Francigena.
Dalla campagna di scavi, iniziata nel 2001, emerge una città sommersa. Un crocevia. Ne sono la dimostrazione i numerosi reperti ceramici e le centinaia di monete raccolte nel corso degli scavi che mostrano come la pieve fosse collegata ad una rete che univa San Genesio all’Europa e al Mediterraneo.  In una delle ultime campagne di scavo, sono stati ritrovati nell'area, identificata con l'antico cimitero, i resti di una giovane donna che aveva per corredo un denaro d'argento di Carlo Magno, coniato a Tours, in Francia, da dove forse la donna era partita. Altri scavi hanno riportato alla luce capanne in legno d'età longobarda e le fondazioni di un lungo muro in ghiaia, calce e sabbia riferibile all'ultimo periodo dell'età romana. La pieve fu costruita nella seconda metà del VII secolo in un’area frequentata in età etrusca, che poi divenne sede di una mansio in epoca romana e di un vicus in età longobarda.  Se nell’alto medioevo aveva già dimensioni eccezionali, 35 metri per 17, attorno all’anno Mille raggiunse i 45 metri di lunghezza e fu dotata di una cripta e di un chiostro. San Genesio, definito anticamente Vicus Wallari, costituiva un nodo nevralgico del sistema viario.  La sua collocazione, incrocio tra la via Pisana e la via Francigena, fu il motivo delle fortune del borgo che conobbe momenti di vera gloria attorno all’anno Mille.
Sono tanti i pellegrini che oggi percorrono la Francigena, che collegava nel Medio Evo l'Europa settentrionale a Roma, con un flusso ininterrotto di uomini, eserciti, traffici, commerci, idee e culture. Si spostano a piedi.  Come pellegrini di mille anni fa, camminano passo dopo passo sui resti dell’antico selciato fermandosi a San Genesio e seguendo le orme del Vescovo Sigerico che qui sostò nel suo viaggio di ritorno da Roma a Canterbury compiuto tra il 990 e il 994.
Qui sostarono in tanti. Nel 1055 si svolse la “dieta” imperiale indetta dall'imperatore Enrico III e diverse altre vi si tennero tra il 1160 e il 1172, sotto l'imperatore Federico Barbarossa.  Qui i vescovi di Fiesole, Pisa, Firenze e Lucca si incontrarono con il notaio Gunteram, inviato del re Liutprando. E successivamente Papa Gregorio VII, il re di Francia Filippo il Bello.  Luogo di incontro, di riposo e di ristoro, San Genesio.
La Francigena, attraversava buona parte del territorio sanminiatese. Proveniente da Lucca, passava da Galleno, Ponte a Cappiano e Fucecchio e aveva in San Genesio uno dei principali centri. Da qui partiva un fascio viario, non un unico percorso, che saliva lungo il crinale e toccava nelle sue diramazioni Calenzano, San Quintino, Coiano, Corazzano, Castelnuovo d’Elsa, Castelfiorentino per poi riunirsi e proseguire per Siena e arrivare a Roma.  Tra i principali segni che ci sono arrivati fino a noi, la splendida pieve romanica di Corazzano.
La collocazione lungo la via Francigena contribuì alla crescita del borgo che venne abbandonato dai suoi abitanti nell'anno 1200, per essere definitivamente distrutto dai sanminiatesi nel 1248.
Terra di passaggio quella di San Miniato. Terra di mezzo, Città delle XX miglia per segnalare da sempre la centralità rispetto alle città toscane.
Come passano i pellegrini, per i quali ieri come oggi sono a disposizione luoghi di accoglienza e di ristoro,  su questa direttrice, passarono viaggiatori e scrittori. Michel de Montaigne, nel 1581, si fermò a San Miniato e annotò la visita nel suo Viaggio in Italia.  Non è escluso che un altro grande viaggiatore, Wolfgang Goethe, di cui è documentato il passaggio da Firenze a Siena sotto il colle, si sia fermato a visitare San Miniato al Tedesco.
Oggi ciò che era sta tornando alla luce, L’area di San Genesio forse domani sarà un parco archeologico: chissà. Ma la tentazione di diventare per un giorno archeologo alla ricerca di un tesoro nascosto è tanta.
Ora anche questo è possibile.

Dante Alighieri e Federico II


© Fabrizio Mandorlini

Partiamo dalla fine. Da Dante Alighieri.
Scrisse nel tredicesimo canto dell’Inferno: 
Io son colui che tenni ambo le chiavi
del Cor di Federigo, e che le volsi,
serrando e disserrando, sì soavi
che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi:
fede portai al glorioso offizio,
tanto ch’i ne perde’ li sonni e’ polsi.

Dante si riferiva a Pier delle Vigne, giurista, dettatore in latino e rimatore volgare, protonotaro alla corte di Federico II, il più autorevole tra i consiglieri dell’imperatore. Accusato di tradimento nel 1248, venne gettato in carcere e accecato. Incerto il luogo della sua morte nel 1249, secondo alcuni storici avvenne per una caduta, dentro la torre di Federico dove era stato rinchiuso.
La posizione strategica della torre ha consentito, in epoca medievale, di porre un controllo sul transito tra Firenze e Pisa. Le caratteristiche della struttura indicano la probabile partecipazione alla costruzione di maestranze normanne. San Miniato, di fazione ghibellina, conobbe il suo periodo d’oro con Federico II di Svevia da cui ottenne numerosi privilegi. Egli, tra il 1217 e il 1223, fece costruire la torre sul punto più alto della rocca a completamento delle opere difensive già intraprese da Ottone I, incaricando a sovrintendere alla sua edificazione il cancelliere imperiale Corrado da Spira. Essa, insieme alla Torre di Matilde, attuale campanile della Cattedrale, e alla torre delle Cornacchie (abbattuta nel XVIII secolo) erano i fulcri della fortificazioni della città.
Ce lo indicano alcuni dipinti:la veduta di San Miniato in un affresco contenuto nei corridoi vaticani e un particolare della pala d’altare realizzata dallo Sprangher che si trova nella chiesa di San Francesco. Da escludere sulla base di recenti studi che la «Città del mare» di Ambrogio Lorenzetti, conservata nella pinacoteca di Siena riproduca la San Miniato medievale.
Se Ottone I di Sassonia, nel 962 aveva fondato la sede dei vicari imperiali con giurisdizione su tutta la Toscana a San Miniato, Federico II di Svevia destinò il suo castello alla raccolta dei tributi per l’Italia centrale. In tanti vi soggiornarono e vi risiedettero: Federico Barbarossa dal 1167 al 1178, Enrico IV nel 1184, 1186 e 1194, Ottone IV nel 1209.
La torre, come coronamento e potenziamento della rocca, fu realizzata per rafforzare il complesso difensivo del cassero.  I ritardi nel suo completamento fecero irare l’imperatore che distrusse tutte le torri delle famiglie della città.
Dal secolo XII, San Miniato cominciò a reggersi con magistrati propri e fu coinvolta nelle lotte esplose fra le varie città; crollata la potenza di Pisa ghibellina, a cui San Miniato si era appoggiata, i sanminiatesi furono in seguito sottomessi da Carlo D'Angiò da cui si ribellarono entrando a far parte della Lega Guelfa (1291), fino a quando non vennero assorbiti dalla Repubblica Fiorentina. Ribellatisi a quest’ultima, subirono dalla stessa due assedi (nel 1370 e nel 1396) ed un terzo, nel 1530, da parte degli Spagnoli; questi ultimi occuparono la città il primo febbraio 1530 e ne furono ricacciati il 1primo novembre dello stesso anno da Francesco Ferrucci. Alla caduta di Carlo V, San Miniato venne sottomessa dal Duca Alessandro De' Medici ed entrò a far parte del governo granducale, sotto il quale, con la potente famiglia dei Grifoni, divenne una delle più importanti città della Toscana medicea.
La città, il cui nucleo originario risale all’VIII secolo, quando diciassette longobardi edificarono una chiesa dedicata al martire Miniato, fu conosciuta dunque come San Miniato al Tedesco. Sarà di nuovo una tedesca, Maria Maddalena d’Austria, moglie di Cosimo dei Medici, a privilegiare San Miniato, facendone la sede vescovile. Una grande statua marmorea a lei dedicata fu distrutta a fine Settecento dai giacobini durante la Rivoluzione Francese.

Michelangelo, il Papa, San Miniato e la Cappella Sistina


© Fabrizio Mandorlini
“Nel mille cinquecento trentatre. Ricordo come oggi a dì 22 di settembre che andai a Santo Miniato al Tedesco a parlare a papa Clemente che andava a Nizza; e in tal dì mi lasciò Sebastiano del Piombo un suo cavallo”.
E’ Michelangelo che scrive di questo incontro nei suoi manoscritti. E’ in questo luogo che il papa Clemente VII dà all’artista l’incarico di affrescare la Cappella Sistina, incarico che venne confermato anche dai pontefici che si succedettero.
In quest’incontro ebbe un ruolo determinante la famiglia sanminiatese dei Grifoni, e in particolare Ugolino. Egli studiò a Firenze presso la scuola di Francesco Guicciardini, fu poi maggiordomo del duca Alessandro, e aveva servito appunto Papa Clemente VII Medici. Fu successivamente uno dei segretari di Cosimo I Medici fin dal suo avvento al potere nel 1537. Si dice che nel 1533 Ugolino avesse incontrato Michelangelo Buonarroti per incaricarlo del progetto del palazzo di famiglia a San Miniato, progetto poi portato a termine tra il 1551 ed il 1573 su disegno di Giuliano di Baccio d’Agnolo.  San Miniato aveva già accolto altri papi. Nel 1434 Eugenio IV, fuggito in esilio da Roma al tempo in cui dimorò a Firenze e nel 996 Gregorio V.
La famiglia Grifoni emerse dunque in seguito alla conquista fiorentina di San Miniato, praticando la professione notarile e visse il periodo più fortunato nel XVI secolo quando servì papa Leone X Medici.
Altre famiglie importanti hanno fatto la storia di San Miniato, i Roffia, gli Ansaldi, i Borromei, i Buonaparte, i Gucci, i cui eredi sono oggi alla guida di una delle più importanti griffe del mondo.

La Diocesi di San Miniato e i suoi vescovi


© Fabrizio Mandorlini
La diocesi di San Miniato nacque il 5 dicembre 1622 costituita da un territorio prima appartenente alla diocesi di Lucca. Con la bolla “Pro Excellenti” Gregorio XV ne elenca i motivi che ne consigliano l’istituzione, si dilunga sui “meriti” storici della città, che, tra l’altro, aveva dato origine alla famiglia dei “Borromeo”. La città di San Miniato, per il suo nobile passato, la vivacità culturale, i suoi edifici sacri, la bella e ampia pieve, venne riconosciuta come centro naturale e sede vescovile. La comunità diocesana ha conservato e conserva tuttora le sue particolari caratteristiche che, nel culto della tradizione e nel modo di vivere la fede, la differenziano dalle altre diocesi toscana e ne costituiscono la sua personalità inconfondibile, a costruire la quale hanno contribuito la sensibilità religiosa dei popoli e l’opera instancabile dei vescovi.
Ferma sostenitrice presso la Santa Sede ne fu la gran duchessa di  Toscana, Maria Maddalena d’Austria, vedova di Cosimo II, governatrice del vicariato di San Miniato. La storia della diocesi si caratterizza per un iniziale fervore organizzativo, che vede i vescovi determinati nel creare dal nuovo una struttura articolata e complessa. Si spiega così l’immagine che contraddistingue i primi pastori, da mons. Francesco Nori (1624-1631),  il primo vescovo, ad Alessandro Strozzi (1632-1648), da Angelo Pichi (1648-1653) fino a Carlo Visdomini Cortigiani (1683-1702), tutti impegnati a percorrere il territorio per conoscerlo, istituire uffici, convocare sinodi, far nascere il seminario; a ciò si accompagna un pari entusiasmo nell’abbellire la nuova cattedrale e le chiese più importanti del territorio, ma anche nel conservare un patrimonio già esistente. Basti pensare all’opera dello Strozzi, con il quale, nel 1644, mentre si avviavano i primi restauri della cattedrale, si procedeva anche alla creazione dell’Accademia degli Affidati, così da far nascere nella città un centro vivo di cultura. Fu con il vescovo Pichi che, nel 1650, nacque il seminario diocesano, in grado di offrire ai chierici una scuola diurna e una formazione teologica e culturale di cui si avvertiva l’urgente necessità. Poi, nel 1685, fu merito del Cortigiani fare del seminario stesso una struttura a carattere residenziale.
Il secolo XVIII vide la Chiesa sanminiatese guidata da vescovi di notevole cultura, di grande zelo religioso e decisi ad elevare la formazione spirituale e teologica del clero. Basta pensare al vescovo Giovan Francesco Maria Poggi (1703-1718), che ampliò il seminario e volle, un clero, istruito nelle Sacre Scritture e nella storia della chiesa, ma anche a Brunone Fazzi (1779-1805),  professore di morale all’Università di Pisa, fondatore degli Ospedali Riuniti di San Miniato.
Il Poggi diede inizio ai restauri della cattedrale, ordinò la costruzione del santuario del SS. Crocifisso e fece decorare la facciata del seminario, mentre il vescovo Giuseppe Suares de la Concha (1734-1754) abbatté le torri del palazzo vescovile, che assunse l’aspetto attuale. Dopo l’episcopato di Fazzi, fu Torello Pierazzi (1834-1851) a dare nuovo impulso alla struttura diocesana, perché dotato non soltanto di vasta cultura, ma anche di una forte apertura al nuovo. Furono sue la creazione della biblioteca del seminario e la rifondazione dell’Accademia degli Euteleti. Pierazzi istituì la Cassa di Risparmio di San Minialo. Intanto si avvicinavano eventi di grande rilevanza storica, come il passaggio allo Stato Unitario, che avvenne nel periodo in cui era vescovo Francesco Maria dei marchesi Alli Maccarani (1854-1863); episcopato caratterizzato anche dagli ultimi restauri della cattedrale, che le conferirono il suo attuale aspetto. Nel clima di diffuso anticlericalismo di fine Ottocento, emerse la grande spiritualità del vescovo Pio Alberto Del Corona (1875-1906). Durante i conflitti mondiali, la diocesi sanminiatese fu vicina alle sofferenze della gente comune, partecipe delle sue quotidiane difficoltà. In occasione della Prima Guerra Mondiale, essendo vescovo Carlo Falcini (1908-1928), numerosi sacerdoti e chierici furono chiamati al fronte, mentre la distruzione operata dai bombardamenti durante la seconda, portò il vescovo Ugo Giubbi (1928-1946) e il clero in prima linea nel prestare servizio a coloro che la guerra aveva privato di tutto, dagli affetti ai mezzi più elementari di sopravvivenza. Pur in tempi così tristi, la diocesi manteneva una propria vitalità, perfino sul piano culturale. Con Falcini ebbe inizio la pubblicazione del bollettino diocesano (1911), mentre con Giubbi nacque l’Azione Cattolica e nel 1937 il settimanale La Domenica. Nel 1938, fu celebrato il primo Congresso eucaristico diocesano, preceduto, nel 1936, dall’ultimo Sinodo antecedente il Concilio Ecumenico Vaticano II. È a Felice Beccaro (1946-1969) che si lega il cammino di ricostruzione, non soltanto materiale, ma anche spirituale, dell’intero contesto diocesano. Sotto il suo episcopato la diocesi realizzò restauri, fu celebrato il secondo Congresso eucaristico diocesano e si creò, nel 1967, il Consiglio presbiterale, sulla linea del rinnovamento determinato dal Concilio Ecumenico Vaticano Il. Con i vescovi Paolo Ghizzoni (1969-1986) ed Edoardo Ricci (1987-2004) siamo in piena cronaca La diocesi di San Miniato guidata dal vescovo Fausto Tardelli con la sua storia dà un’immagine tangibile attraverso gli spazi sacri delle proprie chiese, i tesori che la fede e la pietà di vescovi e sacerdoti hanno prodotto e conservato; la fede viva di intere popolazioni che si riconoscono in questo tessuto antico di tradizioni religiose e nell’operato di tutti i propri pastori.

Al Teatro dello Spirito dal 1947 con il Dramma Popolare

©  Fabrizio Mandorlini 
San Miniato è città del teatro senza avere un teatro. Ma il suo teatro è unico al mondo. E’ conosciuto come il “Teatro dello Spirito”, intendendo con ciò tutti quei testi che, rappresentati negli anni, si pongono il problema della ricerca del senso e del significato della vita, anche in maniera conflittuale e non risolta, e che anelano ad una risposta più alta, in un rapporto dialettico ed entusiasmante con l’alterità, vista non come limite, a volte opprimente, dell’uomo, ma, al contrario, come possibilità di risposta alle domande fondamentali della mente umana. Qui l’ispirazione cristiana viene dunque assorbita come essenza primordiale e ragione profonda dell’interpretazione della storia, come fonte di interrogativi e di possibili risposte, come radice culturale, sociale e spirituale, come possibilità di nuova vita: non un teatro confessionale, ma un dramma autenticamente popolare, che, a partire dai punti di riferimento culturali e religiosi del mondo occidentale, ricerca, a volte con fatica, una soluzione diversa, forse apparentemente più difficile, ma l’unica per cui valga la pena di spendere l’esistenza. Grandi scrittori, grandi registi e grandi attori. Il meglio del teatro è passato dal palcoscenico all’aperto del Teatro dello Spirito, naturale crocevia internazionale di questa drammaturgia, unica nel suo genere. Impossibile ricordarli tutti, una lunga striscia che attraversa il teatro italiano dal dopoguerra a oggi che unisce il palcoscenico, la scena e la fede e che ogni anno accende i riflettori sull’Italia e oltre. Tanto per citarne alcuni, a firmare la regia dei vari spettacoli sono stati vari maestri, tra cui Orazio Costa, Luigi Squarzina, Franco Enriquez, Sandro Bolchi, Aldo Trionfo, Josè Quaglio, Sandro Sequi, Beppe Menegatti, Ugo Gregoretti, Giancarlo Sbragia, Mario Scaccia, Pino Manzari e Krzysztof Zanussi. Tra gli autori dei testi rappresentati figurarono Henri Gheòn, Thomas Eliot, Jacques Copeau, Georges Bernanos, Graham Greene, Paul Claudel, Diego Fabbri, Ignazio Silone, Mario Pomilio, Mario Luzi, Elie Wiesel, Franco Enriquez, Thomas Mann, Kaj Munk, Derek Walcott, August Strindberg, Elena Bono, Julien Gracq, Curzio Malaparte ed il pontefice Karol Wojtyla. Quanto agli interpreti, si può dire che il meglio del professionismo teatrale è passato da San Miniato e, in molti casi, da qui è partito: Giulio Bosetti, Ernesto Calindri, Rossella Falk, Arnoldo Foà, Carla Fracci, Nando Gazzolo, Giancarlo Giannini, Remo Girone, Giuliana Lojodice, Evi Maltagliati, Anna Miserocchi, Valeria Moriconi, Gastone Moschin, Ave Ninchi, Ilaria Occhini, Gianni Santuccio, Giancarlo Sbragia, Mario Scaccia, Aroldo Tieri, Luigi Vannucchi, Massimo Foschi, Eros Pagni, Maria Paiato, Claudia Koll e tanti altri ancora. Nato nel 1947, tre anni dopo che le mine tedesche avevano distrutto il Verdi, il teatro cittadino costruito sul modello della Scala di Milano, l'Istituto del Dramma Popolare debutta mettendo in scena “La Maschera e la Grazia” di Ghéon in onore a San Genesio patrono della città e protettore dei mimi. Ricostruire le coscienze degli uomini lacerate e divise dalla guerra. E' ciò che è importante in questi momenti. Nel 1948, anno in cui va in scena “Assassinio nella Cattedrale”, il teatro sanminiatese si apre all'Italia; l'incontro con il “Piccolo” di Milano di Giorgio Strehler, con gli attori, i registi e i critici affermati tra cui Silvio D’Amico, diventa determinante. San Miniato è in poco tempo teatro d'avanguardia, teatro cristiano, teatro per evangelizzare. E’ la definitiva affermazione dell’Istituto del Dramma Popolare nel panorama teatrale italiano. Il Teatro dello Spirito, ora divenuto festival, ogni anno nel mese di luglio propone una prima assoluta scegliendo come luoghi per la rappresentazione lo scenario naturale delle piazze di San Miniato. Alla “prima” della manifestazione partecipano annualmente ministri, vescovi, noti personaggi dello spettacolo, dello sport, della finanza. Nulla a che invidiare ai più noti teatri italiani. L’attuale trasformazione dell’Istituto del Dramma Popolare da associazione di privati in Fondazione, con il concorso della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, del Comune di San Miniato e dello stesso istituto, ha lo scopo di perpetuare una tradizione che ha portato la Festa del Teatro sanminiatese ad assumere un ruolo di primissimo piano nella diffusione della cultura di ispirazione cristiana.