Jeshua, il Cristo misericordioso che accoglie i pellegrini in ferro battuto di Attilio Cartone in esposizione in San Rocco a San Miniato

di Fabrizio Mandorlini

Ti lascia senza fiato per la sua espressività e per i lineamenti quasi delicati. La materia viene plasmata e diventa il corpo di Jeshua, il Cristo accogliente e misericordioso che, inginocchiato e con le braccia spalancate, si pone in un gesto supremo di amore.
Un’opera unica, come unico è il suo autore. Attilio Cartone è uno scultore che utilizza il martello e la mola come fossero pennelli, per imprimere nel ferro, modellato a freddo, le sue emozioni e la sua interiorità.
Un’opera che sembra fatta appositamente per far pensare, la sua, esposta per la prima volta in Toscana dopo aver ricevuto apprezzamenti in tante città italiane, che trova alloggio temporaneo nel tempo di quaresima nell’oratorio di San Rocco in piazza Buonaparte a San Miniato.
Un oratorio questo molto caro ai sanminiatesi. Da alcuni anni è diventato uno dei luoghi di accoglienza per i pellegrini nel loro viaggio lungo la via Francigena e, nel tempo di Natale, ha già ospitato con successo le particolarissime opere in forma presepiale realizzate con materiali di riciclo da Roberto Cipollone, in arte Ciro.
Nell’anno che Papa Francesco ha voluto dedicare alla Misericordia, il Jeshua di Attilio Cartone sembra cogliere che nell’abbraccio del Cristo misericordioso e in quelle sue braccia protese verso il mondo, c’è posto per tutti noi e per tutti coloro che vivono la difficoltà del nostro tempo.
Come dire: dopo un lungo cammino, la speranza c’è, anche se non sempre la percepiamo. E in questo tempo ce n’è veramente bisogno. Oggi più che mai.






Oggi vado in scena io: Jeshua
di Lorenzo Bonini
E' facondo dopo aver visto lo splendido lavoro scultoreo compiuto da Attilio Cartone, nella sua opera dal titolo "Jeshua", dai connotati e fattezze altamente espressivi; realizzata con rara maestria e competenza operando sul ferro a freddo.
Dopo avere visto i risultati dell'opera, confesso la lodevole sorpresa.
Ritengo emozionante, anche se inconsueto dare voce in primis all'opera stessa, che narrandosi s'illustra; fare cioè un attributo di merito per la qualità dell’opera.
Oggi vado in scena io sono la materia di cui è fatto il mio duro lavoro, sono l'unica figura cui si può demandare l'arduo compito di presentare e rappresentare pura e semplice il farsi carne di ogni uomo.
Sono il corpo, sono il cardine su cui ruota il lavoro di Attilio Cartone, sono il soggetto della sua ricerca, l'elemento primo e originario di ogni sua creazione io sono: Jeshua.
E' a me che lui guarda a ogni tappa del suo progetto. E non può essere altrimenti per lui, esclusivamente e potentemente parte del suo percorso, sono io Jeshua, l'incomparabile riferimento, unico e solo potere di articolazione del suo raccontare.
Attilio Cartone, da qualche tempo desiderava muoversi attorno all'uomo, agli elementi distintivi dei contrassegni antropologici del corpo, dell'anima e della ragione, in significanti ed espressive azioni. Ora che il traguardo è raggiunto, non si può cessare di rivolgere lo sguardo, una prima, seconda e ultima volta a quell'atteggiamento antropico, solidale, altruista, tollerante, sia se si creda o no.
In quel gesto sono raccolte tutte le sofferenze e aspirazioni dell'uomo terreno, dall'intimo che diventa manifesto dell'incarnazione di un vivere che solo in apparenza la coscienza ritiene proprio. Sono io Jeshua, il centro delle vostre prospettive, condizione imprescindibile delle sensazioni,unico e unico in ogni individuo. L'uomo artista ha dovuto cedere alla mia autorità, senza corpo non sono un uomo, io e solo io potevo rappresentare la radice dei suoi passi.
Sono io che metto in gioco il vostro stesso abitare questo mondo, sono la sola presa diretta che potete avere verso il mondo, io sono il corpo vero provato e legato a una soggettività, nei miei gesti, è dato cogliere un barlume di ciò che si agita nascosto nella coscienza di ognuno.
Non sono un involucro indifferente per lo spirito, sono l'elemento in cui l'esistenza, nella sua articolata complessità si simbolizza e si attua, trasportando ogni significato spirituale che crediate di pensare.
Se c'è potere nello scegliere un materiale, è da qualche tempo immemore quello che mi porto addosso, è il potere di stratificare ogni senso anche quello salvifico dell'opera d'arte.
E se corpo deve essere! Si metta in vista pure il vissuto di un condannato a morte che oggi è risorto, sia presente un atteggiamento indulgente e conciliante, quale iconografia celebrativa agli uomini che abitano la terra e a tutti quelli sacrificati in mare nel silenzio dell'universo.

Milano 6.10.2015

ATTILIO CARTONE
scultore, è nato a Pisa il 28 aprile 1971 e abita a Casciana Terme in provincia di Pisa.
Realizza opere in ferro lavorandolo a freddo e utilizzando la mola per modellare il materiale.
Jeshua è stata realizzata completamente a freddo con un martello e una mola ed è alta 104 cm, profonda 87 cm e larga 134 cm. Esposta in alcune città italiane, riscontrando ovunque molti apprezzamenti, di pubblica e di critica, l’opera arriva a San Miniato (Pisa), nell’oratorio di San Rocco, in piazza Buonaparte.

Foto: Giovanna Biondi
Ufficio stampa: Fabrizio Mandorlini




Una nota storica sull'Oratorio di San Rocco di Dilvo Lotti tratta dal volume "San Miniato Vita di un’antica città" 

di Dilvo Lotti

L’oratorio di San Sebastiano, il saettato martire protettore e scudo del popolo fedele contro il flagello della peste, nel sec. XIII, nel sottopiano della piazza del Ponticello, ad un livello riscontrabile di quattro o cinque metri sotto l’attuale, qui aveva il suo sacello, la sua chiesa. 
Andato rovinato, diroccato, per i fatti connessi alla “sommissione”, alla perdita della libertà, ed all’incendio di tutto quanto era attorno: case dei Buonaparte, Ciccioni-Malpigli, Mangiadori, dopo il Concilio di Losanna del 1480, che elevò agli onori degli altari San Rocco, riconoscendolo nuovo intercessore, campione contro la peste, ed essendo sopravvenute in loco condizioni favorevoli di stabilità politica e di benessere economico, riordinata la piazza, coordinate le displuviali, interrata la loggia dei Buonaparte, nel nuovo livello stradale costituito dalle terre di riporto e dalle macerie, si dovette alzare il nuovo Oratorio, dedicato ai due santi abbinati: San Sebastiano e Rocco, sulle rovine del più antico sacello. 
La storia della costruzione sacra, quale noi la vediamo, è legata alle fortune ed alla protezione delle nobili famiglie sanminiatesi: Buonaparte, Ansaldi, Burrini.
Due pezzi sculturali-architettonici provenienti, o rinvenuti nelle vicinanze, appartengono alla primeva chiesa, il primo: una formella marmorea, intarsia un fiore a stella in verde e rosso di Prato su campo bianco. Il motivo decorativo, e la tecnica esecutiva, tipicamente fiorentina dei secc. XII e XIII, non ha altri riscontri in San Miniato, ed il reperto, rinvenuto nelle fondamenta della casa di Paolo Vensi, prospicente la piazza, forse vi venne gettato attorno al 1525, all’epoca della ricostruzione dell’Oratorio. La ricomposta acquasantiera, in marmo, di tipologia tardo gotica, può essere stata reimpiegata dal preesistente edificio.
Erroneamente, è questa la nostra opinione, il Piombanti, desumendo dalle notizie della famiglia Buonaparte conosciute anche dal nobile Damiano Morali, e pubblicate nel 1846, nella Guida della città di San Miniato al Tedesco con notizie storiche antiche e moderne (Tipografia di M. Ristori, San Miniato 1894), a pag. 110, afferma: in questa piazza, che or dal suo nome s’intitola, aveva la famiglia Buonaparte una loggia (ed era invece a fronte, a capopiazza), che essa trasformò nel 1524 in piccola chiesa in onore del martire San Sebastiano, per averlo protettore contro la pestilenza, la quale spesse volte aveva sparso la desolazione e la morte nel bel paese. Nel 1718 vi fu portata ed esposta anche la reliquia di San Rocco, invocato anch’esso pure, in Italia e fuori, nelle pestilenziali invasioni, e sempre si continuò dipoi a solennizzare la festa. Ora comunemente è chiamata la chiesa di San Rocco. I conventuali di San Francesco avevano in essa una ufficiatura giornaliera; ed il Magistrato, nel giorno sacro a San Sebastiano, ogni anno vi si portava a presentare un’offerta.
Passata in proprietà del Comune, ei dette nel 1714 il permesso che vi fosse eretta una compagnia col lodevole scopo di accompagnare il S. Viatico agli infermi della città. Essa pure andò soggetta alla generale soppressione.
I Buonaparte dovettero assumersi verosimilmente le spese dell’incorniciatura in pietra serena dell’abside e dell’arco trionfale, con lesene di tipica stilizzazione tardoquattrocentesca; la stessa famiglia commise, forse sul finire del sec. XVI, ma di datazione dubbia: i due angioli, con simboli della Passione, nel tamburo absidale. Nel 1714, a spese del prete sanminiatese Burrini, si fecero la finestra in facciata, il relativo affresco interno - rovinatissimo ma di ottima mano - i portali in pietra, e l’altare, autentico capolavoro dell’arte libera e fantastica del tempo.
Nell’affresco fatiscente della calotta absidale, con San Sebastiano in gloria, il pittore-decoratore aveva accoppiate le armi dei Burrini e degli Ansaldi.
Dopo le alterne vicende seguite alla generale soppressione, per iniziativa di un Comitato presieduto da mons. V. Arzilli, e per volontà di popolo, il 16 Agosto del 1967 l’Oratorio veniva riaperto al culto, convenientemente restaurato e decorato per una iniziativa nata per adornare di affreschi le pareti del sacro tempio, con le storie dei Santi Rocco, Sebastiano, Cristoforo, Antonio Abate, Bartolommeo, dovute ai pittori: Ciampalini, Giani, Giannoni, Giolli, Mori, Vezzi, i quali donavano la loro opera, ed i frutti del loro impegno, in una esperienza comunitaria nuova. L’autore di questa “Vita” dirigeva i lavori di decorazione e ripristino.
A causa della gronda del tetto poco aggettante, per la infelice esposizione della parete a vista della strada, battuta dalle piogge, per l’umidità infiltrata nelle pareti lugno il corso dei secoli, ed a malgrado gli accorgimenti di bonifica messi in atto, il salnitro, va distruggendo le belle “storie” affrescate dai sette validissimi ingegni.
Risultato raggiunto, l’affluenza dei fedeli nella recuperata chiesa.